Conformismo e libertà Di Ugo Morelli. Archivio Sezione Hic et Nunc “La libertà e l’autonomia sono premesse non negoziabili”, ha scritto Simone Casalini su questo giornale, sabato scorso. La sua è una sollecitazione a chi svolge lavori intellettuali e ha responsabilità in istituzioni culturali, che non può essere sottaciuta o trascurata. In qualche parte d’Italia si usa il proverbio “legare l’asino dove vuole il padrone” e indica la disposizione complice o collusiva a praticare il conformismo e l’accondiscendenza quando si ha una responsabilità la cui delega dipende da chi detiene il potere. Il conformismo, appunto. Uno dei problemi principali del nostro tempo, che può essere contrastato solo dalla trasgressione agli ordini dominanti del consenso come unico criterio di scelta e dalla affermazione della differenza dei punti di vista, come valori guida. La ricerca, che è la chiave di ogni lavoro intellettuale, è fatta di esercizio del dubbio e di elaborazione della mancanza, di capacità di tollerare il vuoto e di sospendere i domini di senso, almeno provvisoriamente. Per converso il consenso e la saturazione sono una delle principali ragioni della crisi di un gruppo sociale e di una comunità, della sua implosione e della crisi o della caduta della democrazia al loro interno. Ora è bene sapere che le pressioni al consenso sono elevate, non solo nelle posizioni di chi detiene il potere, ma anche nelle popolazioni che tendono a rassicurarsi nelle consuetudini e perfino in ognuno di coloro che pratica il lavoro intellettuale, per la gratificazione che deriva dall’essere compiacenti. È solo un investimento in discontinuità, che spesso è un vero e proprio investimento anche contro se stessi e le proprie convinzioni, che può generare quella qualità che appare strettamente associata alla capacità di farsi domande, elaborare il vuoto, affrontare il conflitto delle differenze, generare l’inedito e non invidiare, misconoscendole, le innovazioni. Se il lavoro intellettuale ha una funzione, questa riguarda l’azione per aumentare il numero delle possibilità, sottoponendo le idee e le prassi a verifica e falsificazione. La costruzione di un valore culturale, sociale e collettivo passa per la possibilità e la capacità di dire “no”. Dire no è difficile se il senso di appartenenza si struttura principalmente come un vincolo. Ogni appartenenza è almeno in parte vincolante. Mentre offre una base abbastanza sicura per esprimere se stessi, l’appartenenza include e vincola. Essere dentro e fuori allo stesso tempo; pensare oltre e al di là dell’esistente è il contributo di un intellettuale e responsabile.Vivere e lavorare nelle organizzazioni e nei gruppi vuol dire vivere immersi in fitte reti di relazioni. Chi fa un lavoro intellettuale o ha responsabilità pubbliche in quanto intellettuale dovrebbe vivere quelle relazioni come relazioni asimmetriche, soprattutto con chi lo ha nominato. Solo così lo può aiutare e può servire la comunità di riferimento. L’intellettuale non è né da una parte né dall’altra ma sta nella scomoda posizione di mezzo e apre spazi di riflessione e di ricerca per vedere se non sia possibile un’altra via e se per caso non è vero il contrario. Esercita il dubbio e stai a vedere cosa ti offre il caso, fu il monito educativo di Giovanni Pellicciari mentre mi insegnava la scienza e la vita.
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