Che cosa distingue una buona leadership. Sostitutibilità e vulnerabilità

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc

Che cosa distingue una buona leadership? Come si riconosce una buona guida per una comunità, per un gruppo o per un’istituzione? Una questione tra le più impegnative nella ricerca e nella letteratura riguarda oggi la nostra realtà locale, come ha indicato il Direttore di questo giornale nell’editoriale di domenica ventisei febbraio. L’attenzione va posta su alcuni aspetti della questione che possono aiutare a farsi un’idea e favorire il confronto auspicabile sulle scelte che abbiamo di fronte. La disposizione a seguire chi ci precede e guida, nelle più diverse situazioni, può dipendere dalla sua evidente competenza tecnica. Ognuno di noi salendo su un aereo auspica vivamente che il pilota sia competente e capace; anzi si aspetta che sia il più competente e capace dei piloti. Una fonte della leadership può essere, perciò, appunto, la competenza tecnica. Possiamo poi riconoscere ad una persona un ruolo di guida e confermarlo nel tempo, in quanto si mostra capace di contenere funzionalmente le esigenze di tutti o di quasi tutti gli altri. Sa ascoltare e farsi portavoce; è disponibile a cambiare idea di fronte a prove evidenti; riconosce gli errori che fa e mostra equità nei giudizi; tiene posizioni equidistanti tra le parti. Esiste poi un carattere distintivo della leadership, molto studiato e anche troppo enfatizzato dal senso comune, che è il carisma. Come è noto “carisma” richiama una determinazione divina, qualcosa di impresso dall’alto e che non è sondabile o producibile artificialmente. Si tratta di una caratteristica di una persona che viene riconosciuta e legittimata come leader, che non dice nulla della bontà e dell’efficacia di quel leader per chi lo segue, ma può essere molto efficace e coinvolgente, a volte fino a generare effetti indesiderati per i seguaci. Può accadere, cioè, che i seguaci si sveglieranno un giorno chiedendosi come avevano fatto a seguire quel leader, ma mentre lo seguono difficilmente sono disposti ad accettare critiche e dubbi sul suo operato. Ognuno di questi aspetti della leadership si manifesta almeno in parte combinato con gli altri e, quindi, l’affermazione di una posizione di guida è un gioco di prevalenze in cui, di volta in volta si evidenzia una dimensione rispetto alle altre. C’è però un tratto della leadership che è indicato come quello che contraddistingue un buon modo di esercitare il potere, secondo le migliori tradizioni di studio e ricerca. Francesco Novara, grande maestro e studioso del tema, lo sottolineava sempre: quel tratto è la sostituibilità. Un buon leader è colui che lavora per allevare chi lo sostituirà o per favorire l’emergere di possibilità effettive di sostituzione. In questo si vede la validità e la forza effettiva della sua azione. Nella sostituibilità si vede la capacità di contenere e saper elaborare quel narcisismo che rischia spesso di farci percepire insostituibili e di portarci alla sindrome del “dopo di me il diluvio”. Quella capacità di contenersi e di ritirarsi è forse il tratto più importante di chi vuole rendere alle comunità da cui è stato scelto, un servizio efficace, distintivo e, perché no, elegante nell’esercizio del potere. Lo spazio della sostituibilità emerge in ognuno di noi e nelle relazioni nel momento in cui si riconosce il valore della vulnerabilità. È la vulnerabilità il luogo in cui può generarsi oggi inizialità e, quindi, riconoscimento del valore della sostituibilità. Solo il “vulnus”, il senso del proprio limite, lascia emergere l’attenzione all’altro che può sostituire chi guida, al suo allevamento e alla sua crescita.