Creatività, innovazione e vivibilità. Intervista a Ugo Morelli di Fausta Slanzi
Archivio Sezione Hic et Nunc
Che cosa hanno da dire le sue ricerche più recenti sulla creatività umana, l’innovazione e la vivibilità, a chi si occupa di realizzare e gestire l’innovazione oggi?
E’ nel modo di intendere noi stessi, nelle risposte alla domanda: che cosa significa essere umani, che oggi la scienza ci consegna le principali innovazioni. La più importante delle quali riguarda le nostre caratteristiche distintive e, in particolare, la neuroplasticità del nostro sistema cervello-mente. Noi cambiamo continuamente con l’apprendimento e non siamo fissi ma diveniamo nella contingenza storica delle nostre vite. Siamo noi la fonte principale dell’innovazione possibile e abbiamo bisogno di conoscerci meglio e di imparare a utilizzare meglio le nostre stesse possibilità.
Lei ha affrontato queste questioni in un libro recente, Mente e bellezza. Arte, creatività e innovazione, pubblicato da Allemandi……..
Noi esseri umani siamo una specie creativa. Siamo diventati tali con l’evoluzione che ci ha portato a disporre della competenza simbolica. Tendiamo così a non coincidere mai con noi stessi e con ciò che esiste già, e cerchiamo l’oltre, quello che ancora non c’è. Con l’immaginazione creiamo illusioni, artefatti, oggetti, opere e mondi inventati, generando continuamente segni per un altro. Facciamo tutto questo con aspettative di riconoscimento e quando un atto creativo è riconosciuto e adottato dà vita ad una discontinuità che sostituisce un ordine precedente ed è l’innovazione.
L’innovazione, in particolare, come si connette alla nostra psiche?
In ragione della vasta messe di ricerche in atto sul tema da parte della psicologia e della psicoanalisi, oltre che delle scienze cognitive e delle neuroscienze, la creatività e l’esperienza estetica, intese come tratti specie-specifici strettamente connessi all’apprendimento, alla conoscenza e all’innovazione, rappresentano la frontiera di quella ricerca sul possibile e sulla creazione di soluzioni e modelli di esistenza inediti, che non solo sono richiesti dal presente, ma costituiscono le principali, se non uniche, fonti di futuro. Se la memoria è l’alveo della nostra stessa individuazione e della cura dei nostri artefatti, dalla scienza alle istituzioni, essa, per divenire feconda e florida di futuro, necessita del riconoscimento della nostra capacità creativa e dell’allevamento della nostra disposizione a sentire pienamente noi stessi, gli altri e il mondo, nel mentre tendiamo all’oltre, all’inedito, a quello che ancora non c’é.
Quali sono le implicazioni della nostra natura specie specifica?
Siamo un progetto e un’invenzione, non un destino. Siamo come un blocco di pietra nello studio di uno scultore: la durezza, il colore e le dimensioni della pietra restringono la gamma di forme che lo scultore può ricavarne, pur lasciandogli un ampio margine di libertà creativa. La peculiarità è che lo scultore principale di noi stessi siamo noi, come già Plotino aveva poeticamente intuito. Siamo chiamati a rispondere a noi stessi e alla creazione della nostra vita nelle scelte di ogni giorno. Non esiste un “io” senza un “noi”, ma siamo tutti parte in causa riguardo ai modi in cui stiamo nel “noi”. Della nostra “prima vita”, della nostra nascita non siamo in fondo responsabili; è la nostra “seconda vita” che dipende principalmente da noi e dai nostri modi di affrontarla. Da quei modi dipende la sua qualità e la sua pienezza, la nostra vita nel mondo, dalla formazione di sé alla nostra possibilità di concorrere alla creazione di una società in cui sia possibile aumentare il numero delle possibilità e lo spazio della libertà. Decisivo è fare un esame di realtà chiedendosi cosa ostacola il raggiungimento della pienezza della nostra seconda vita.
Sulle possibilità e sui vincoli di una inedita vivibilità lei ha appena pubblicato un libro, Mente e paesaggio. Una teoria della vivibilità, da Bollati Boringhieri. È possibile l’innovazione nei paesaggi della nostra vita?
È a questo livello che interviene, principalmente, la fallacia della nostra percezione nel ritenere fissa la natura apparente degli ordini istituiti, che tendono perciò a presentarsi come immodificabili e ineluttabili. Il riconoscimento di quella fallacia può aprire varchi alla creatività, a patto di elaborare il conflitto che interviene tra forza dell’abitudine, dipendenza dal passato e capacità creative distintive di noi esseri umani. Si tratta di cercare di accedere alla riflessione sulla nostra condizione, di pensare effettivamente, di pensare davvero. Un campo di prova della necessità di fondare su valori inediti il vivere personale e comune in una società che cerca la via per vivere al presente la propria autonomia è quella della vivibilità e del paesaggio come spazi della nostra vita. In quel campo si esprime oggi un’occasione decisiva per darsi una seconda vita.
Nelle relazioni con l’“altro”, inteso come gli altri esseri umani di ogni origine e cultura, e come le altre creature dell’intero sistema vivente, risiede oggi la possibilità di sviluppare una decisiva svolta alla ricerca delle opportunità per una “seconda vita”, appropriata ai tempi in cui viviamo.
Le condizioni dell’espressione creativa, insomma, esigono un’inedita manifestazione di stili e modi di vivere le connessioni tra i nostri mondi interni e il mondo esterno; necessitano di una riappropriazione autofondativa dell’esperienza. Abbiamo oggi la possibilità di operare una svolta con queste caratteristiche, anche per gli sviluppi della conoscenza scientifica e dei paradigmi emergenti in molti campi disciplinari, ma soprattutto al punto di incrocio tra codici disciplinari.
Eppur si crea… se si educa alla creatività e alla bellezza. È questo il suo punto di vista?
Educare è vivere relazioni orientate a sostenere l’espressione delle possibilità di individuazione e di conoscenza, mentre ognuno crea se stesso creando il mondo. Formare è prima di tutto formare se stessi mentre si mettono in forma i mondi in cui ciascuno vive e lavora con gli altri, riconoscendo i saperi richiesti e necessari. L’incarnazione della mente umana e la verifica sempre piè evidente della nostra plasticità, ci consentono di vedere nell’educazione e nella formazione la via per cambiare la nostra vita. Solo educando alla creatività noi possiamo vedere riconosciute le nostre capacità creative, prima di tutto da noi stessi e, insieme, dagli altri. Educare alla creatività non può però voler dire introdurre a scuola l’“ora della creatività” o svolgere un seminario sulla creatività. Alcune condizioni della creatività e dell’innovazione devono essere considerate:
• La creatività è diversa dall’apprendimento che si sviluppa all’interno di frame situati e consolidati.
Mentre l’apprendimento e il cambiamento si svolgono all’interno di cornici consolidate e, per certi aspetti necessarie, la creatività, per emergere, implica l’interruzione almeno parziale di quelle cornici, la loro socchiusura provvisoria e l’attraversamento da una cornice all’altra.
• La bellezza emerge dalla connessione tra mondo interno e mondo esterno attraverso la mediazione dell’immaginazione. La pienezza nel sentire se stessi e il mondo abitandone immaginativamente e creativamente la connessione, può essere individuata come esperienza di bellezza. In primo luogo perché la creatività è indeterminabile, indecidibile e imprevedibile. In secondo luogo perché essa scaturisce dalle relazioni e dalle condizioni che creiamo per favorirne l’emergenza. Le pressioni al conformismo e alla ripetizione sono soprattutto insite nei processi educativi e formativi così come sono concepiti e organizzati, nella maggior parte dei casi. È fondamentale mettere mano alla creatività di ogni giorno e alle possibilità di praticare la ricerca dell’inedito nelle relazioni e nelle prassi quotidiane, mentre si cura la disposizione a “tendere all’oltre” che ci indica la via attraverso la quale possiamo vivere concependo noi stessi e il mondo, non come un destino, ma come un progetto e un’invenzione.
L’innovazione genera resistenze e la creatività suscita inquietudine. Uno dei modi di esprimere difese verso la creatività è banalizzarne gli esiti. Di fronte alla generatività dell’arte contemporanea, ad esempio, spesso si sente dire: “lo sapevo fare anch’io”. Bruno Munari ha detto:”Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima”.
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