Contro il conformismo
Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc
Una affermazione perniciosa che ha rischiato di coinvolgerci tutti e dalla quale, forse, cominciamo a liberarci, è: tanto sono tutti uguali. Si tratta di uno degli aspetti più ostici e pericolosi del conformismo. Di quel modo di pensare e di essere verso il quale propendiamo, soprattutto in tempo di crisi, perché ha un potere magnetico di falsa rassicurazione. Come le pecore del gregge dantesco, confondersi con gli altri e appartenere al modo di pensare e di fare dominante fa sentire al sicuro, salvo portare tutti nel burrone. Il valore delle distinzioni possibili nelle società locali, le specificità espresse dalle comunità autonome e, soprattutto, i pensieri degli individui che sono capaci di darsi una voce, anche critica e conflittuale se serve, permettono di tenere alta la vigilanza e di sostenere che non è vero: non siamo tutti uguali e non sono tutti uguali. Non perché ci sono gli angeli di qua e i demoni di là; non perché “ci siamo dei buoni e ci siete dei cattivi”. Non si tratta di fare moralismo o di pretendere di affermare modelli di vita o, peggio, imporli. Più umilmente e decisamente si tratta di sostenere che si può essere sicuri di avere sempre ragione ancor prima di confrontarsi, o di impegnarsi ad ascoltare il punto di vista altrui, non per benevolenza ma per rispetto e per i vantaggi della reciprocità; che si può cercare, magari con fatica, di dire quello che si pensa e si sente e non di parlare solo per convincere o per imporre le proprie idee; che ci sono cose che hanno un prezzo e si possono vendere e comprare e cose che non sono commerciabili, come la dignità, gli affetti e le passioni; che ci sono beni materiali e beni relazionali e mentre i primi si misurano economicamente solo calcolandone i costi, i secondi si valutano in base a criteri di civiltà e di crescita individuale e sociale; che la democrazia è un sistema incerto basato sulla tutela del punto di vista della minoranza, soprattutto se è minoranza di uno, e non il governo di chi vince le elezioni; che governare democraticamente non vuol dire fare quello che in quel momento vuole la maggioranza del popolo per scopi di consenso, ma tutelare le regole e decidere con responsabilità in un giusto equilibrio tra autorità e partecipazione; che la bellezza, intesa come connessione sufficientemente buona tra ciò che sentiamo e la cura degli altri e del mondo intorno a noi, è il contrario dell’arroganza e della volgarità esibita; che l’amore è diverso dal sesso a pagamento o estorto mediante abuso di potere; che essere forti non vuol dire poter comandare al maggior numero possibile, ma saper contenere se stessi e gli altri nella ricerca del bene vicendevole. Per queste ragioni e tante altre, non è vero che sono e che siamo tutti uguali, ma non perché qualcuno è meglio di qualcun altro, ma solo perché c’è chi ritiene di essere già perfetto e usa se stesso come metro di misura degli altri e del mondo, e chi ritiene che vivere voglia dire cercare di divenire se stessi insieme agli altri, in un cammino che fa la vita più bella e degna di essere vissuta.
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