Tutta la vita non basta di Ugo Morelli Archivio Sezione Hic et Nunc Noi umani lasciamo tracce. Dalle orme di Olduvai, passando per Lascaux e “l’uomo senza qualità”, fino a Twitter, noi lasciamo segni per un altro. Lo facciamo perché con l’altro corrispondiamo naturalmente prima ancora di parlare e quella risonanza ci autorizza ad aspettarci che qualcosa del nostro segno, della nostra traccia, sarà compreso e, magari, condiviso. L’alterità, essendo ineluttabile per noi, anche quando uno che lascia tracce scritte come uno scrittore, e sostiene di farlo per sé e solo per sé, di farlo perché diversamente non può fare, fino a proporsi di distruggere e di fatto distrugge ciò che fa, anche in quel caso è l’altro il suo riferimento, per rimbalzo, per dislocazione e perfino per negazione. Così come è probabile che l’elaborazione e l’avvento del linguaggio parlato derivino dai suoni, pare che la scrittura sia connessa alla nostra capacità di movimento e al camminare. Camminando, con i piedi lasciamo tracce, e lasciate intenzionalmente con le mani, divengono segni, come sto facendo mentre scrivo. Una dislocazione, una trasposizione che va dal descrivere il mondo, un mondo qualsiasi, che è comunque un modo di ri-creare quel mondo, fino al “fingere” un mondo producendo la realtà della finzione, dando forma all’invisibile. Quella finzione sarà, una volta inventata e scritta, più vera del vero. Nessuno può alterare o modificare la storia e il destino di un personaggio di un romanzo e allo stesso tempo, però, tutti sappiamo che è inventato. Paradossalmente, quindi, una realtà inventata, assumendo carattere di verità, diviene la via per accedere al senso della verità nella realtà della nostra vita. Per questo forse Fernando Pessoa ha scritto che “la poesia e l’amore sono la prova che tutta la vita non basta”. Perciò scriviamo e scrivendo ci inventiamo. I dogon del Mali studiano la propria storia, una narrazione della loro storia, su un libro di Marcel Griaule, Dieu d’eau, che riporta, ricreato, il racconto che l’autore (ma chi è l’autore? Viene da chiedersi a questo punto) ha ascoltato da Ogotemmêli, un vecchio dogon, fonte della sua scrittura. La catena del riconoscimento è fatta di anelli alterni, uno di racconto, l’altro di scrittura e l’effetto è un senso della verità attribuito a chi leggendo partecipa del gioco linguistico e si crea a sua volta un mondo. La fragilità e la responsabilità dello scrivere si situano così nell’infinito gioco del linguaggio con cui diveniamo e ci riconosciamo umani. . |