Beni relazionali e lavoro
Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc
Sono i beni relazionali la principale causa della crisi in corso, nel lavoro, nella società, nell’economia. Trascurare i beni relazionali o abusare di essi prosciugandoli ha determinato e determina buona parte delle ragioni delle nostre difficoltà attuali. Ma che cosa sono i beni relazionali? Il fatto stesso di porsi la domanda basterebbe a riconoscere una delle principali ragioni della crisi in cui versiamo. Quella ragione sta nell’aver separato l’economia da tutto il resto, attribuendo all’economico non solo il primato, ma facendone la misura e il codice per concepire, gestire e vivere tutto il resto. Se si pensa che da un certo momento in poi abbiamo cominciato a calcolare il valore del tempo di non lavoro o quanto costa avere e allevare un figlio, trasformando il tutto in prevalente se non esclusiva questione economica, se ne può avere una verifica. Ancor più evidente appare la pervasività mentale, comportamentale e operativa dell’economico, se ci ascoltiamo: di fronte alle considerazioni precedenti, molto probabilmente, ognuno di noi ha pensato: come si fa a fare qualsiasi cosa senza considerarne l’aspetto economico? Mentre è certamente giusto pensare questo, è importante fermarsi un momento a riflettere. I livelli sono tre, non uno solo. Una cosa è preoccuparsi dell’aspetto economico di ogni scelta. Altra cosa è mettere l’aspetto economico prima di tutto. Altra cosa ancora è vedere solo l’aspetto economico come misura di tutte le cose. Per esempio, a proposito della cultura, se si pratica la terza via, un museo, l’educazione, un concerto non contano più per il valore educativo, di emancipazione individuale e collettiva, di civiltà e, quindi, di capacità di pensare e agire facendo anche economia innovativa, ma solo per quanto costano e se danno o non danno utili. Non c’entrano nulla qui il contenimento dello spreco e l’efficienza gestionale. Ci mancherebbe. Se si applica questa riflessione al bene “lavoro”, si può scoprire come il significato primo e più profondo del lavoro riguardi l’autorealizzazione, la dignità individuale e sociale, la libertà delle persone. Prima di essere un bene economico il lavoro è un bene individuale, sociale e civile, in quanto è una delle principali fonti di senso per la storia di ogni vita. È, cioè, un bene relazionale, irriducibile a ogni misura solo economica, e proprio per questo particolarmente importante per fare economia a livello innovativo. La scuola esiste per educare, far crescere e innovare la conoscenza; non è un impresa. La sanità e gli ospedali esistono per prevenire e curare le persone; non sono un’impresa. La città non è un’impresa: è il luogo della vita, della partecipazione e del pluralismo. La cultura non è questione d’impresa: è memoria, presente e futuro di una popolazione. Tutte queste attività devono essere efficienti e gestite con principi economici, ma sono istituzioni civili che una società si dà per generare beni relazionali, senza i quali non c’è economia che possa funzionare. È questo un terreno sul quale l’autonomia trentina già si distingue, come nel caso del provvedimento a favore dei giovani e il lavoro. Sul problema, il primo maggio è intervenuto con rigore e determinatezza il Presidente della Repubblica. Sono esempi che dicono che si può e si deve fare di più.
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