Migranti: L'altro siamo noi
Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc
Servono due milioni di migranti in Italia. A dirlo è uno studio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Allo stesso tempo l’Istat evidenzia che i posti di lavoro che si generano oggi in Italia e anche in Trentino riguardano soprattutto attività a basso contenuto di innovazione e conoscenza. Gli italiani non sono quasi mai disponibili a svolgere quei lavori, che sono necessari, e sono proprio gli immigrati che si occupano di quelle attività. Di cosa si parla allora quando si parla di immigrazione con l’apparato di aggettivi e frasi che inneggiano alla paura e alimentano la xenofobia? Se ci si riferisce all’esigenza di governare il fenomeno in modo civile e illuminato, non si può che essere d’accordo. Le esagerazioni ideologiche però non aiutano ad assumere una posizione equilibrata e appropriata alla complessità del problema. L’invecchiamento della popolazione italiana è messo in evidenza da anni dalle analisi demografiche e dalle statistiche sulla popolazione. Le stesse statistiche consentono di constatare l’incidenza del sostegno alle entrate dello Stato derivante dai contributi previdenziali versati dai lavoratori migranti. I lavoratori immigrati, insomma, non solo sono necessari allo svolgimento di attività decisive per la vita del paese e per le società e le economie locali, ma il contributo degli immigrati come cittadini attivi che lavorano e pagano le tasse diviene parte integrante della società e dell’economia italiana. Analizzando l’andamento della popolazione attiva nei prossimi dieci anni, si può constatare una diminuzione che oscilla tra il 5.5% e il 7, 9%. Ciò significa che la popolazione che lavora o cerca lavoro cala col passare del tempo e questo è un segnale problematico perché vuol dire che le aspettative di lavorare si abbassano. Sappiamo, infatti, che accanto al 30% circa di giovani disoccupati, in Italia abbiamo quasi due milioni di giovani che non lavorano e non studiano. È difficile non domandarsi cosa significhi tutto questo per la qualità della società e per la partecipazione attiva alla vita democratica nel nostro paese. È noto che la situazione trentina e altoatesina presenta un andamento diverso. Sia le opportunità lavorative che le aspettative sono diverse e decisamente più positive. La situazione della disponibilità a svolgere dei lavori a basso livello di qualificazione è però la stessa se non più impegnativa. Se, come si stima, vi sarà un aumento della domanda di lavoro compresa tra lo 0,2% e lo 0,9% da qui al 2020, mentre l’Italia avrà bisogno di circa 1 milione e 800 mila immigrati, il Trentino e l’Alto Adige necessiteranno di circa 25.000 o 30.000 immigrati. Dove sta il problema principale? Nel fatto che dal Ministero del lavoro si conferma la stessa politica, si fa per dire, applicata negli ultimi quattro anni. Bisogna risalire al 2007 per trovare il penultimo decreto flussi emanato dal Consiglio dei Ministri. Un decreto che autorizzava 170 mila ingressi di lavoratori non stagionali provenienti dai paesi extra-Ue. Dopodiché si è proceduto con negazioni delle necessità, respingimenti, regolarizzazioni, sanatorie di fatto. Il tutto accompagnato da una retorica che agita ad ogni occasione il pericolo di “invasioni bibliche”. Sull'onda di una domanda pressante di lavoratori, si è giunti, infine, nel 2010, all'ultimo decreto flussi, formalmente il secondo, dal 2007, che ha autorizzato poco meno di 100 mila ingressi. È perciò forse meglio riconoscere che l’”altro” è necessario e non è “altro”ma uno di noi e governare il fenomeno con questo principio.
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