Mente e bellezza. Arte, creatività, innovazione, di Ugo Morelli
Note critiche di Marcello Farina

Archivio Sezione Hic et Nunc

Condivido, innanzitutto, quanto scrive Vittorio Gallese nella Postfazione del libro di Ugo Morelli: si tratta di

“un lavoro di interrogazione sulla condizione umana e sulla dimensione estetica, svolto con curiosità, entusiasmo, amore e passione…”,

anche se mi permetterei di dire che tra “condizione umana” e “dimensione estetica” non c’è separazione o scansione temporale (un prima e un dopo), ma identificazione, contemporaneità di presenza…

E’ anche vero che in questo lavoro si attraversano “confini e steccati disciplinari, riuscendo così a far dialogare tra loro filosofia e biologia, psicanalisi e neuroscienze, con una grandissima attenzione agli aspetti epistemologici” (ad es. con grande attenzione per il linguaggio, che ciascuno di noi è.)

E’ anche da sottolineare il fatto che questa opera “è un importante contributo alla ridefinizione della nozione di estetica e di creatività”, che non è soltanto un tratto parziale, anche se decisivo dell’esperienza umana, ma la sua caratteristica esistenziale onniabbracciante, come direbbe Karl Jaspers.

Nello stesso tempo, però, questo testo di Ugo Morelli porta con sé alcuni connotati di autentica originalità che esprimerei in questo modo:

  • il superamento del “dualismo” ontologico ed esistenziale.

Con un’immagine direi: è finita l’epoca di Platone, è finito il Platonismo! Non è un’affermazione neutrale, se pensiamo quanto l’occidente (e il cristianesimo abbiamo “usato” Platone!

A suo modo Ugo Morelli coglie uno dei passaggi più importanti della tempera culturale del nostro tempo, quello che rivaluta il corpo e lo fa compagno essenziale dell’anima.

  • l’affidamento all’estetica del compito marxianamente di cambiare il mondo, non solo di interpretarlo (la sensibilità contemporanea);

  • la contestazione della ragione calcolante della modernità, attraverso la messa in evidenza di un nuovo rapporto tra certezza e verità, così come è “vissuto” nella post-modernità. Anche in questo ambito Ugo Morelli raccoglie ed esplicita un pensiero che alcuni grandi autori della contemporaneità come Maria Zambrano hanno saputo far nascere;

  • ma forse, a parer mio, l’aspetto più originale, (mi si permetta di dire: ‘rivoluzionario’) della riflessione di Ugo Morelli è la scelta, senza tentennamenti, giustificata ad ogni passaggio con grande onestà intellettuale, del “paradigma evolutivo”, darwiniano, per spiegare il divenire dell’uomo, della condizione umana, che trova la sua espressione in una delle parole più importanti, decisive, di tutto il testo, cioè la “tensione rinviante”.

E’ la “tensione rinviante” che rappresenta, come scrive ancora Vittorio Gallese “un momento di sospensione, lo scarto tra attualità e potenzialità, che innesta la possibilità di divenire ciò che si è (Maria Zambrano direbbe: “l’andare nascendo”) e consente di concepire il mondo come un’infinita serie di possibilità che rinviano ad altre possibilità”.

Ugo Morelli descrive tutto questo con immagini di grande suggestione: è la “tensione rinviante” cha apre

al liminale
all’ineluttabile
all’inaudito
all’eccedente
all’universale

coinvolgendo tutta la ricerca umana: l’arte, la scienza, l’amore, il sacro, la politica…

Così, sullo sfondo, cioè se si è capaci di raccogliere il vero “udito” di questo testo, compare una consapevolezza a mio parere straordinaria, detta con umiltà, senza protervia o enfasi esagerata e che è, insieme, un punto di arrivo e di partenza della nostra epoca e della cultura che la rappresenta: la consapevolezza della conquistata “autonomia” dell’umano, della sua dignità, della sua libertà, che non ha bisogno di riconoscimenti eteronomi, fossero anche interpretati dalla ragione 1.

Dall’”unità” che la stessa natura umana porta con sé di corporalità e di spiritualità si dilata, per un progetto che le appartiene, quella disponibilità alla relazione (il “noi vene sempre prima dell’io”) che consente agli esseri umani di stare al mondo, con la capacità di rinviare continuamente all’inedito che si traduce in esperienza estetica e creatività. In questo contesto Ugo Morelli affida, infatti, alle arti, il ruolo positivo di essere il luogo in cui immaginiamo con maggior efficacia nuovi, necessari mondi possibili.

Ci sono occhi che vanno a fondo delle cose”, egli ci ripete con Paul Celan (p. 37). Noi siamo le relazioni che viviamo e diventiamo le esperienze che facciamo (p. 41). Per questo noi tendiamo a non coincidere con noi stessi e con quello che c’è già: proprio la bellezza riguarda la possibilità e la capacità di “vagare” (la vaghezza) alla continua ricerca di sé ed è il contrario della vanificazione della propria presenza nel mondo”.

Solo creare quello che ancora non c’è merita la fatica di vivere, pur nel peso del tempo finito.

Ugo Morelli mette in guardia, in questo contesto, anche dal “conformismo” e dalla “saturazione”. Sono pagine intense quelle in cui si esprime la convinzione che ancora una volta è l’arte la realtà che ci insegna a non ubbidire!

Un compito anche qui ci aspetta con urgenza: quello di lenire le ferite dello spirito di chi ricerca una conoscenza adeguata all’oggi. Esse sono quattro:

  • la prima ferita è la lacerante divisione, ovviamente artefatta, tra scienze della natura e scienze dello spirito (da Dilthey a Gadamer-Ricoeur);

  • la seconda ferita deriva dalla visione rigorosamente riduzionistica del mondo perpetrata troppo a lungo dalla scienza (l’eredità positivistica in senso stretto…);

  • la terza ferita è nel fatto che a scienziati e umanisti, agnostici e atei, o semplicemente laici, è stato insegnato che la spiritualità è sciocca o, quanto meno, discutibile (come se non esistesse una spiritualità del tutto umana?);

  • la quarta ferita, la più dolorosa, è che tutti quanti – laici e credenti – manchiamo di un’etica globale! In questo senso, ma non solo, la nostra è un’epoca dell’emergenza.

Di qui un richiamo che personalmente considero una delle perle di questo testo a nuove modalità di pensiero, così espresse:

  • dal finalismo al riconoscimento dell’evoluzione;

  • dalla realtà fissa alla realtà continuamente creata;

  • dalla razionalità olimpica alla razionalità incorporata;

  • (dai modi di pensare idealistici ai modi di pensare post darwiniani…)

E’ l’imperfezione la nostra grandezza! (p. 70) Perché quello che siamo non ci basta mai? Ecco l’arte: l’immanenza dell’infinità nel finito! (p. 131), sempre “sull’orlo del possibile” (p. 138). Ancora: l’essere umano è un animale plastico e “mancante” o “in ritardo” (p. 153). Eppure “quando ci sembra impossibile fare diversamente, abbiamo la maggior necessità di innovare” (p. 198). Anche la democrazia è una “conversazione infinita” (p. 199).

In questo contesto Ugo Morelli ritiene possibile una “nuova alleanza” tra scienza e filosofia. Il primo a renderla possibile credo sia stato proprio lui con questa sua opera!

1 Per usare un’immagine di una grande teologo del Novecento, D. Bonbasser, è l’uomo diventato adulto, che può essere “etsi deus non dare tuo”