Profondità e cultura

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc


La domanda è semplice; la risposta è difficile. Come per tutte le cose che contano. Che cosa distingue la cultura dalla pletora di iniziative, spesso populiste anche se definite popolari, che ci circonda? Sappiamo di fare una riflessione impopolare e disturbante, ma forse è quanto mai necessaria proprio oggi che bisognerebbe selezionare gli investimenti pubblici, anche nella cultura, per i limiti delle risorse di cui continuiamo a parlare. Si può convenire sulla razionalizzazione dei processi gestionali e sulla messa in rete delle istituzioni. Semmai si tratterebbe di chiedersi perché ci si arriva per trauma e non per scelta: la decisione sarebbe stata preventiva e forse più efficace e virtuosa. Rimane però la questione della distinzione. Le società investono in politiche culturali perché dalla cultura traggono alimento la pensabilità del presente e del futuro e la capacità di formulare ipotesi innovative rispetto all’esistente. Solo lo spessore culturale che deriva dall’arte visiva, dalla letteratura, dalla scienza, dalla musica, dal teatro, possono alimentare quella pensabilità e le aspirazioni di una popolazione a una civiltà più compiuta. Proprio quella capacità di fare ipotesi di autogoverno e governo delle scelte, in molte situazioni di partecipazione, nelle valli e nelle città del Trentino, fa difetto ad ogni evidenza. Non si tratta qui di esprimere giudizi, ma di constatare che, se esiste una via per divenire padroni del proprio destino, quella via dipende in maniera significativa dalla propositività e dalla progettualità sociale. Ebbene queste ultime risorse sono carenti, in quanto le idee e la capacità di esprimerle, proporle e negoziarle non vengono dal nulla. Possono provenire esattamente dalle sollecitazioni e dalle opportunità culturali a cui partecipiamo. Non perché vi sia un automatismo. Nessuno di noi, quando usa una categoria per interpretare una questione o un problema, o per fare una proposta, saprebbe dire dove attinge le basi del proprio ragionamento, salvo rari casi. Lo fa perché dispone di un patrimonio costruito nel tempo, che ormai quasi tacitamente gli appartiene. Quel patrimonio è frutto delle opportunità culturali che ha avuto e ha a disposizione. Ma, appunto, come devono essere quelle opportunità per fare da lievito? Che cosa deve distinguerle? Proviamo a rischiare: devono essere caratterizzate dalla profondità; devono generare occasione per pensare e riflettere; devono essere almeno in parte discontinue e, perciò, quasi conformi, ma non schiacciate sull’esistente; devono aprire le teste e non addormentarle nel compiacimento di ciò che è solo rassicurante ripetizione; devono consentire confronti tra mondi e linguaggi diversi; devono aumentare il numero delle possibilità. Non si tratta in alcun modo di pensare ed esprimere azioni culturali élitarie. Esattamente il contrario. Si tratta di selezionare con criteri di qualità assumendo che non si deve abbassare la cultura verso il populismo, ma innalzare il livello medio del conoscere e del sentire, e questo solo la cultura in senso lato può farlo.